Giochi e libri

Le difettose

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Ho pensato a lungo se pubblicare o no questo post.

Il delicato tema della fatica a concepire, se non l’impossibilità a farlo, sono sincera, un po’ mi spaventa: come affrontare questo mondo senza ferire i cuori di donne e uomini che stanno vivendo questa situazione? Come parlare, io Mamma, ad altre donne che vorrebbero essere madri, ma non possono? Trovare le giuste parole, libere da giudizi è possibile?

Tempo fa Eleonora Mazzoni, mi ha inviato il suo libro, è passato tanto tempo, è vero, ma oggi posso parlarne, anzi devo.

Le difettose è prima di tutto un romanzo molto ben scritto, in cui l’uso delle parole mi ha molto colpita. Diversi passaggi sono commoventi e hanno scatenato pensieri anche lontani dal tema trattato, pensieri sui sentimenti, sulla vita … ognuno si sa, quando legge un libro, legge una sua realtà, interpreta sulla base dei propri vissuti e delle proprie esperienze, tanto che a volte ci si guarda e ci si dice “Ma abbiamo letto lo stesso romanzo?”.

Io mi occupo di comunicazione, di linguaggio, incontro mamme e bambini tutti i giorni, ci scriviamo, a volte ci incontriamo lungo percorsi difficili …

“Le difettose” mi è piaciuto, molto. Sarà che la protagonista, Carla, è un tipetto niente male, in fondo mi somiglia, chissà se penserete anche voi la stessa cosa, eppure che c’entro io con lei? Io ho due splendide bimbe e non averne altri è stata una scelta, quindi?

Be’ a volte la vita può essere difficile comunque, per motivi diversi. A me rimane questo, del libro:

Finora la mia lingua è stata piena di parole d’acciaio. “lavoro”, “riuscire”, “arrivare”, “fare”, “farcela”, “colpa”, “vergogna”, “pagare”, “giudizio”, “promozione”, “recuperare”, “produrre”, “esami”, “dovere”, “compiti” […] Ma bisogna che ne impari altre. Più calde, morbide, accoglienti.

Vi lascio alle parole di Eleonora Mazzoni, autrice del libro.

 

***

Ero nel mezzo della mia seconda fecondazione, quando davanti a un caffè un amico mi chiese: “Perchè non scrivi un racconto su quello che stai vivendo?”

Il 2009 volgeva alla fine, alle spalle avevo 2 aborti naturali riusciti, una Icsi fallita e un’altra nella fase del “questa volta sono sicura che ce la faccio”, e in quel momento nacque la mia protagonista: una donna che ha quasi tutto (un compagno in gamba, un lavoro stimolante all’università e un certo fascino) ma non un figlio. Carla prova dai rapporti mirati nei giorni fertili all’agopuntura, dallo yoga a percorsi alternativi e strampalati che però con qualcuna hanno funzionato, ma il figlio continua a non arrivare.

Solo che il desiderio di maternità non è un desiderio come gli altri. Anche se non è un’esperienza necessaria per sentirsi pienamente donne, anche se la sua esigenza non è universale, anche se si esplica in modi e forme diverse e non solo facendo figli, ecco, nonostante tutti questi “anche se”, è indubbio che la maternità rappresenti un evento enorme e unico, non surrogabile, che va a toccare profondamente l’identità femminile e ne è l’espressione più complessa e creativa.

Di conseguenza non riuscire a realizzare questo desiderio primordiale non è come non realizzare un altro desiderio. “Sono diventata cieca a otto anni. La cecità l’ho accettata, l’infertilità no”, racconta una ragazza a Carla, la protagonista del mio romanzo. Una donna infertile sente di fallire uno dei suoi compiti principali, di mancare il ruolo per cui è naturalmente programmata. Si sente defraudata di un diritto elementare. Si sente l’anello mancante di una catena millenaria. Si sente difettosa. Non a caso la sterilità viene percepita da sempre, in ogni cultura, tradizione, epoca, religione, come una disgrazia. Peggio. Come una punizione divina.

Se, come fa Carla (e come ho fatto io), su Google si digita “forum infertilità” appaiono più di un milioni di voci. Un mondo sotterraneo, per lo più sconosciuto ma reale, anzi realissimo, vivo, poliedrico, sfaccettato. E’ proprio frequentandolo e confrontandosi con altre donne con la sua stessa difficoltà che Carla decide di rivolgersi alle tecniche di procreazione assistita, con la speranza che la scienza sappia finalmente ripagarla di quello che la natura non è disposta a concederle. Qui, in un un edificio dalle stanze di un bianco asettico, i medici le sbattono in faccia un dato imprevisto: a 39 anni e 2 mesi i risultati sono pochi. E allora bisogna correre, fare tutto il possibile prima che sia davvero definitivamente troppo tardi.

Mentre la mia seconda Icsi falliva e aspettavo di rimettermi in sesto per programmare la terza, il desiderio di Carla (e il mio) comincia a trasformarsi in ossessione, diventando l’unico pensiero della giornata, la sola attività pulsante.

Ci sono figli cercati con un’ostinazione cristallina, perché il tarlo della loro assenza scava fino a occupare tutto lo spazio di una vita. Quando Carla comincia a frequentare il «reparto delle donne sbagliate» scopre un microcosmo pieno di umanità, un esercito vitale e disperato di donne come lei: Katia, Licia, Loredana, Emma, Giuggiola2000, Luna Rossa. Stanno tutte in fila, mese dopo mese, per eseguire lo stesso rituale: gli ormoni, il pick-up, il transfer, l’attesa. Conoscono il proprio corpo e i suoi segnali con una precisione maniacale. Sono tante. Tantissime. Incontrate nelle sale d’aspetto o in chat. Una specie di grande famiglia, di rete carbonara invisibile a occhio nudo, che protegge e sostiene e che fa sentire meno sole, quindi un po’ meno “difettose”.

Perché se si fa fatica a parlare a viso scoperto con amici, colleghi, parenti (addirittura con la propria madre), in rete si trova una possibilità di racconto e di ascolto, senza giudizi e senza vergogna. Il linguaggio che si utilizza nel web è caldo, morbido, accogliente. Dal momento che c’è la trasmissione del vissuto, è capace di arrivare al cervello, al cuore, alla pancia. Grazie al nickname (che rappresenta una sorta di maschera e come la maschera nel teatro antico nasconde il volto ma permette di entrare in un mondo rituale, magico ed extra-ordinario) si riesce a comunicare in modo intimo e autentico.

Per noi fivettare le mestruazioni sono le ≪rosse≫ o le ≪malefiche≫ o le≪maledette≫, i ginecologi semplicemente i ≪gine≫, i rapporti mirati i ≪compitini≫ o le ≪maratonate≫, dopo il transfer degli embrioni ≪facciamo la cova≫ e al decimo giorno post ovulazione cominciamo a ≪sticcare≫, non si rimane incinta ma ≪si becca la cicogna≫, detta anche, con un po’ di disprezzo per le sue latitanze, la ≪pennuta≫, però quando la becchiamo diventiamo carne della sua carne e ≪ci incicogniamo≫. E giu sigle: pma, icsi, fivet, iui, po, pm, pgd, ivf, geu. Sembriamo studentesse delle medie che parlano in codice per estromettere gli adulti da faccende che non capirebbero. Ogni giorno sui forum di donne che cercano un figlio m’impantano in chat invase, come i diari dell’adolescenza, di sfoghi, di confidenze brutali, di soccorso reciproco, di ≪ragazze, vi voglio bene≫, di ≪brancolo nel buio ma grazie al vostro aiuto procedo≫, di ≪ora sono triste e vuota ma per fortuna ci siete voi≫, alla faccia di tutti i dottorini senza cuore che erigono dighe per fronteggiare i nostri assilli di femmine che non riescono a procreare”.

Nel suo viaggio alla ricerca della maternità e di una forma di saggezza che pare sempre scivolarle fra le dita, Carla può contare sulle altre fivettare, ma anche su due guide spirituali: Seneca, oggetto dei suoi studi di latinista, con cui instaura dialoghi immaginari sul senso delle cose e nonna Rina, coraggiosa e anticonformista, capace di dare un senso al dolore che le ha attraversato la vita, quando, prima di diventare solida come una quercia, è stata fragile come un albero rinsecchito.

“Le difettose” non è un’autobiografia e non è neppure solo un romanzo sulla fecondazione assistita. È un libro che parla del mistero della nascita. Parla dei nostri desideri, della difficoltà di esaudirli, del perché li perseguiamo e pagando quali prezzi. Del perché li abbandoniamo. Parla di cosa significa sentirsi realizzati. Di come mai la nostra volontà non basta a perseguire quello che ci prefiggiamo. E del rapporto che instauriamo con quell’imponderabile che regola le nostre vicende e che possiamo chiamare sorte, destino, karma, Dio. O fortuna, come lo definivano i latini, tanto amati dalla mia protagonista.

Carla sarà costretta a fare un percorso di conoscenza: finché, cercando un figlio, finirà per trovare se stessa. E io la ringrazio. A metà aprile 2011, pochi giorni dopo aver consegnato il romanzo all’Einaudi, nel mezzo della mia quarta (e avevo deciso ultima) Icsi, ho scoperto di essere incinta di 2 bimbi. Con gli interessi la vita mi ha ripagato 6 anni di un lungo, doloroso, magnifico viaggio.

 

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