Area Logopedisti,  Linguaggio

La Comunicazione Aumentativa più che Alternativa

 

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di Ilaria Fassetti. logopedista

Molti logopedisti sono scettici sull’uso della CAA, lo ero anch’io! Il mio consiglio è sempre quello di approfondire prima i principi e i fondamenti di ogni metodo ed approccio, perché la validità di ogni strumento dipende soprattutto dall’uso che se ne fa.

“La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) rappresenta un’area della pratica clinica che cerca di compensare la disabilità temporanea o permanente di persone con bisogni comunicativi complessi.” (Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa-Lombardia)

Una persona che non riesce a comunicare verbalmente o gestualmente non riesce ad esprimere i propri bisogni primari e a fare le proprie scelte, ad avere una qualsiasi relazione con altri bambini e più in generale con la società. Questo porta inevitabilmente a una frustrazione e ad una chiusura verso il mondo che va ad aggravare il suo stato già problematico; questa forte chiusura si rifletterà sugli aspetti affettivi, linguistici e cognitivi.

La CAA non è una tecnica, ma un vero e proprio approccio da utilizzare in tutti i momenti e i luoghi della vita di una persona ed è per questo che deve coinvolgere tutte le figure che ruotano intorno a quel soggetto.

Il bambino attraverso di essa riesce a costruire la propria identità e a mostrarla agli altri; la CAA, infatti, non richiede prerequisiti “L’unico vero prerequisito necessario per comunicare è respirare.” (Pat Mirenda, 1992)

La CAA si realizza con mezzi molti differenti: simboli, gesti, tabelle, comunicatori con uscita in voce, libri, software. I diversi ausili devono essere pensati ed adattati al singolo utente in modo da renderlo il più possibile autonomo, e le tabelle e i simboli devono essere aggiornati e modificati in base all’età del soggetto, ai gusti e ai contesti.

Inizialmente risulta utile e necessario cercare il e il no proprio per far in modo che la persona riesca a mettere in atto le proprie scelte e la comunicazione avvenga spontaneamente secondo le modalità scelte dal soggetto stesso. Quindi anche un cenno con la testa può andare bene per approvare o rifiutare, o un gesto della mano. Anche per l’indicazione dei simboli, o per l’utilizzo di comunicatori, si cerca la modalità spontanea tenendo conto delle difficoltà della persona. Può essere utilizzato un dito, il dorso della mano, in casi particolari anche la testa o altri modi, sebbene sia utile ricercare l’utilizzo del dito per avere una maggiore precisione soprattutto in previsione di tabelle e comunicatori via via più complessi.

Molti software in commercio prevedono l’utilizzo del mouse, ma questo risulta difficoltoso per persone con attività motoria limitata, con problemi nell’area visiva, con problemi nell’area cognitiva e nella coordinazione occhio-mano.

È importante utilizzare correttamente i simboli e questi dovrebbero essere sempre gli stessi, quindi non cambiare continuamente tipologia di immagini perché non sono dei disegni ma un linguaggio. La stessa simbologia deve essere usata per etichettare stanze, armadi e tutto il resto. I simboli devono essere accompagnati da scritte alfabetiche così, se il bambino ne avrà la possibilità e sarà pronto potrà leggerle, ma soprattutto perché rendono gli strumenti ancora più condivisibili!

I simboli iniziali devono essere estremamente motivanti e possibilmente in bianco e nero, sono un linguaggio e non dei disegni, troppi colori distraggono e infastidiscono la vista; non devono essere simboli troppo “infantili” soprattutto se dovranno accompagnare il soggetto quando non sarà più un bambino (come accade, ad esempio, per le malattie degenerative) e devono rappresentare al meglio la ricchezza della nostra lingua soprattutto se si ipotizza di poter arrivare ad una struttura morfosintattica via via più complessa.

Anche i libri proposti in simboli devono essere molto motivanti e personalizzati, il soggetto deve scegliere di leggere, cosa, dove e per quanto tempo, non deve essergli imposto, sarà compito del lettore saper coinvolgere il soggetto nelle prime letture ad alta voce cercando di mantenere viva la sua curiosità e il suo interesse.

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Figura 1 “Quando leggere non è un piacere!” (Dal libro “Costruire Libri e storie in CAA”- vignetta a cura di Luca Pugliese, CSCA).

I simboli in alcuni casi sono solo un punto di partenza, in alcuni casi un valido supporto e in alcuni casi una costante o un punto di arrivo. Ritengo, tuttavia, che in una società che miri all’integrazione e alla valorizzazione di tutti i soggetti sia opportuno conoscere almeno i fondamenti di questo approccio così variabile ed inclusivo.

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Dott.ssa Ilaria Fassetti

Logopedista-Pedagogista-Mediatrice Feuerstein

IRCCS San Raffaele Pisana -Roma

CMPH-Centro Medico Riabilitativo -Roma

www.ilariafassetti.jimdo.it

ilaria.fassetti@gmail.com

 

 

 

 

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