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La mia esperienza con pazienti stranieri: capirsi con lingue diverse

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Sono Sara Milandri, una logopedista che lavora in un servizio di Neuropsichiatria Infantile della Romagna dove un tempo non accedevano molti bambini stranieri; in seguito la situazione è cambiata e i bambini provenienti da altri paesi sono aumentati notevolmente facendomi incontrare situazioni familiari differenti e atteggiamenti diversi in ambito scolastico.

Per citare un  esempio vorrei raccontarvi di un bimbo proveniente dall’America Latina; quando è giunto in Italia era già seguito nel paese di origine da una logopedista e aveva una diagnosi di ritardo mentale.

Con una nuova valutazione del nostro servizio si è  fortunatamente escluso questo problema cognitivo ed è emerso invece un  disturbo di linguaggio importante morfosintattico e lessicale  sia in comprensione che in produzione.

Iniziata la terapia il bambino è migliorato faticosamente  sul versante sintattico e più agevolmente in quello lessicale, ha avuto grosse difficoltà a imparare le strutture morfologiche, gli articoli, le preposizioni; nelle prime fasi sembravano acquisiti perché il piccolo li  utilizzava per un certo periodo, ma poi  sembrava dimenticarli  o comunque non generalizzarli nel linguaggio spontaneo.

A livello scolastico le insegnanti hanno fatto un grosso lavoro sia con lui che con la sua famiglia.  Agli incontri fatti con la famiglia del bambino si sono sempre raccomandate di parlare italiano in casa.

Ma a me sorgono sempre nuovi dubbi e quesiti: per questo bambino è stato difficile apprendere la sintassi italiana e questo mi ha portato a chiedermi se sia utile sapere come avviene lo sviluppo morfosintattico e gli errori tipici nelle altre lingue e rilevare quindi uguaglianze e differenze con l’italiano.

Spesso le madri privilegiavano l’italiano, ma si chiedono se possono parlare ai loro bambini in lingua madre; altre madri, invece, non si pongono tanti problemi e parlano nelle loro lingua al figlio con problemi linguistici.

Oltre a queste difficoltà, sia io che le mie  colleghe, riscontriamo spesso la difficoltà a comunicare con la famiglia che nella maggior parte dei casi non capisce le domande sullo sviluppo linguistico del bambino e neppure gli obiettivi del trattamento; in sostanza non siamo certi quanto i bambini capiscano l’italiano e se abbiano già avuto problemi  nella lingua madre.

Appoggiarsi ai mediatori interculturali non è sempre possibile e a volte si crea confusione (anche da parte della famiglia) tra il nostro e il loro ruolo.

Per questo accolgo con grande piacere il tema di quest’anno dedicato alla Giornata Europea della Logopedia, il Multilinguismo, e spero che possa essere la giusta occasione per fare riflessioni su una linea comune d’intervento in questi casi, cosa che spesso diventa difficile da realizzare nella frenesia dei Servizi dove spesso abbiamo un appuntamento dietro l’altro e manca il tempo per spazi di confronto.

2 commenti

  • Cristiana Gherpelli

    Buongiorno,
    sono una studentessa italiana alla Magistrale di Interpretazione di conferenza della Karl-Franzens-Universität di Graz (Austria). Sto conducendo una ricerca proprio sulla figura dell´interprete in ambito sociale, con particolare riferimento ai servizi disponibili per bambini stranieri con difficoltá di apprendimento. Il suo articolo risale giá a qualche anno fa. Mi interesserebbe sapere, dal suo punto di vista, come si é evoluta la situazione ad oggi. Ha ancora difficoltá a comunicare con i genitori dei pazienti? Ha avuto altre collaborazioni con mediatori interculturali (interpreti)? Sono state utili? La ringrazio anticipatamente per la sua collaborazione.

    p.s. mi scusi per gli accenti ma scrivo con tastiera tedesca!

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