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A TAVOLA. MANGIARE.

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di Adriana Correa

 

Il post di oggi tratta un argomento importante quanto delicato. Far mangiare il proprio figlio e offrirgli una buona alimentazione è sicuramente la prima preoccupazione di un genitore, uno degli aspetti dove si è più sensibili e suscettibili e i bambini lo capiscono subito.

Mangiare è un bisogno naturale.  Si mangia perché si ha fame, perché il corpo lo richiede. Il mangiare, però,  trascende il suo aspetto meramente fisiologico per diventare, in tutte le culture, un piacere nella misura in cui viene condiviso. Non si ha la stessa gioia quando si gusta un delizioso pasto da soli o in compagnia.  

L’aspetto emotivo e relazionale determina il rapporto positivo o negativo che un individuo ha con il cibo.  Numerosi disturbi del comportamento alimentare, presenti soprattutto in età adulta e adolescenziale ma anche durante l’infanzia, affondano le loro radici nell’alterazione dell’aspetto relazionale del cibo vissuto in casa, così come proposto dai genitori sin dalle primissime esperienze.

Le buone o cattive abitudini alimentari si trasmettono per emulazione, per condivisione.  A mangiare si impara a casa, sono  i modelli comportamentali degli adulti quelli che i bambini tenderanno a ripetere.  L’assunzione di alimenti sani e variati, avere un corretto apporto giornaliero di frutta e verdura, mangiare a orari regolari  e rispettare il momento del pasto sono abitudini che si trasmettono nella misura in cui vengono vissute da parte di tutti i membri della famiglia.

Non intendo entrare nel delicato tema dell’alimentazione nè nelle dinamiche psicologiche di bambini e genitori attorno a questo argomento.  Come sempre mi interessa la concezione dello spazio, del piano fisico e materiale legato ad ogni aspetto della convivenza di bambini e adulti in un ambiente domestico, e questa è sempre la conseguenza di una concezione generale della genitorialità e la vita familiare.  Vi presento dunque la mia proposta e vi invito a leggere, per approfondimenti, le simpatiche note di Mamma Logopedista e questo articolo del pediatra Raffaelle D’Errico che riassume in forma chiara e sintetica le premesse di questo articolo.

 

La tavola, uno spazio di condivisione.

La tavola nella maggior parte delle culture, se non in tutte, è luogo privilegiato di condivisione e scambio.  Sedersi a tavola (con gli altri) non si tratta soltanto di soddisfare un bisogno fisiologico, ma di relazionarsi  con e attraverso il cibo.  Invitare qualcuno alla propria tavola vuol dire aprire le porte all’amicizia, farlo entrare nel proprio cerchio intimo.  La tavola ha, come nessun altro mezzo, la capacità di  integrare, di interagire, di stendere legami tra le persone.

Non è diverso per i bambini.  Il pasto è un momento fondamentale per stringere le relazioni familiari, per scambiare esperienze ed opinioni, per raccontare la propria giornata, per stare insieme. Perché i bambini, anche se piccoli, non dovrebbero far parte di questa meravigliosa esperienza?

Con lo svezzamento, quando il bambino è in grado di stare seduto e comincia a interessarsi per altri alimenti, attorno al sesto mese, inizia il delicato processo che lo porterà a passare dal consumo esclusivo del latte all’assunzione di alimenti solidi.  Solitamente in questo delicato momento si tende ad isolare il bambino, a separarlo fisica e temporalmente per somministrarli cibi specifici per l’infanzia.  In  numerose culture questo non succede. I bambini non sono altro che membri di una famiglia, di una comunità, e condividono il pasto come gli altri.  Conoscerete sicuramente il famoso e molto polemico libro del pediatra  Piermarini “Io mi svezzo da solo”, che ribalta la concezione tradizionale dello svezzamento in Italia per portarlo ad un processo naturale seguendo l’istintiva inclinazione del bambino verso i cibi che gli si presentano, quelli che vede mangiare agli altri.  La graduale assunzione di alimenti in un ordine predeterminato dal pediatra e in quantità ben precise scompare per dar passo alla curiosità del bambino pronto ad assaggiare e a consumare quello che il proprio organismo richiede, consapevoli della sua competenza (come per l’allattamento) di sapere quanto e cosa mangiare.

Condividere la tavola con i bambini fin da quando sono in grado di stare seduti e assecondare le loro richieste di assaggiare gli alimenti lo porterà ad avere un sano rapporto con il cibo e ad ampliare fin da piccolo la varietà della sua dieta.

Stare a tavola insieme è anche un importante momento educativo, si impara non solo a mangiare, ma anche il rispetto per il momento del pasto e le buone maniere.    Molte volte sentiamo dire che alcuni bambini non sanno stare tranquilli mentre si mangia insieme.  E’ difficile che possano impararlo se questa non è un’abitudine che inizia nella primissima infanzia.

 

Il seggiolone.

La scelta del seggiolone è molto importante.  Un seggiolone  con tavolino integrato determina uno spazio individuale separato fisicamente dall’area comune dove si svolge il mangiare.  Quello che viene condiviso dagli altri, il tavolo, gli viene negato. Nella maggior parte dei casi questa separazione riguarda anche tempi e alimenti diversi.

Un seggiolone che si limita a portare la seduta ad una altezza adeguata per un bambino piccolo e in sicurezza prescindendo dal tavolino individuale, lo integra alla tavola favorendo la condivisione.  La sedia Tripp Trapp della STOKKE, anche se non sarò per niente originale, rappresenta ancora oggi, dopo quarant’anni della sua uscita, un design intramontabile, difficilmente superabile, perché coniuga la semplicità delle linee, di montaggio e spostamento, la trasformabilità nel tempo da 6 mesi fino all’età adulta,  la qualità e resistenza dei materiali, il valore estetico e la qualità della proposta educativa.  Il suo unico difetto, dalla mia esperienza, è che nella fascia 18 – 24 mesi il baby-kit (adattamento della seduta con barra di sicurezza) rimane troppo stretto e può causare molestie ai bambini.

 

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Qualunque esso sia, dai classici seggioloni da tavolo ai rialzi per sedie nelle sue diverse varianti, l’importante è che questo consenta l’uso del tavolo comune come piano per mangiare, che includa al bambino nella condivisione e nello scambio.

 

Mangiare e farlo da soli.

Avete mai assistito alla guerra del cucchiaino? Un bambino disperato che intende con tutte le sue forze afferrare il pezzo di metallo mentre la mamma tenta disperatamente di strapparglielo di mano? Conoscete la scena? Riconosciamolo, forse noi stessi ne siamo stati protagonisti!

Ebbene sì, a un certo punto i bambini vogliono mangiare da soli.  E, diciamolo, sono guai! Possono mai i primi tentativi arrivare dritto alla bocca?  Il risultato lo conosciamo bene:  pappa dappertutto, vestiti inguardabili, bocca, mento e guance  di colore verde o marrone.  Tutta la faccia di colore verde o marrone!

Eppure anche qui bisogna armarsi di pazienza:  vanno lasciati!  Imparare a mangiare da soli richiede delle competenze di coordinamento motorie  e spaziali  difficili da acquisire.  E’ chiaro che all’inizio il bambino non sarà in grado di portarsi il cucchiaino in bocca, ma come potrà mai riuscirci se non viene lasciato provare? Non ostacolate i loro tentativi, incoraggiateli invece e abbiate il coraggio di lasciare i vostri bimbi sporcarsi e riempirsi di soddisfazione quando raggiungono i loro obbiettivi.  I vestiti si lavano, il pavimento si pulisce, la mancata autonomia dei vostri figli sarebbe invece una grande perdita per loro e anche per voi.

E poi ci sono sempre i bavagliacci  di Maria Piovano pronti a tutto!  Proprio per quello sono stati disegnati!

 

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Le porzioni.

Ecco che entriamo in un altro aspetto delicato.  La tavola è veramente una risorsa di aspetti educativi da trasmettere ai propri figli e uno di quelli è il rispetto per il cibo.  Noi siamo cresciuti   con la voce dei nostri genitori che non si stancava mai di ripetere “mangia tutto, il cibo non si butta”.   Questa voce risuona in noi ancora come un ritornello, un intimo e recondito eco che non cessa mai, che ci accompagnerà sempre.  Perché allora abbiamo paura di insegnare ai nostri bambini le stesse sagge parole?

Però siamo chiari e cerchiamo di evitare fraintendimenti.  Non si tratta di obbligare i bambini con la forza a finire il piatto, anche se un pasto non è gradito o se lui quel giorno è inappetente, chiaramente bisogna saper distinguere le situazioni.  Avere un sano rapporto con il cibo vuol dire anche imparare a riconoscere nel proprio corpo la sensazione di sazietà e rispettarla.  Un bambino non deve essere mai forzato a finire un pasto quando non lo desidera, quello non è educazione, è violenza.  Può, però, imparare a conoscere le proprie esigenze di cibo e a intuire quale è la quantità giusta che va bene per lui.

A tavola quindi è bene che i pasti si presentino in vassoi e che le porzioni siano versate davanti a tutti, per ciascuno con il proprio consenso.  Con la crescita i bambini impareranno a versarsi il cibo da soli, meglio se con attrezzi adeguati alla loro presa.  Una volta decisa la porzione questa dovrà essere finita.  Iniziamo versando poca quantità, sarà sempre possibile fare il bis con più gusto e maggiore senso di responsabilità rispetto a buttare l’eventuale eccesso.  E non abbiate paura di trasmettere buone pratiche:  “si mangia tutto, il cibo non si butta”.

 

Le stoviglie.

Uno degli aspetti che contraddistingue il metodo Montessori e che costituisce una delle idee fondamentali sulle quali si basa, è la fragilità.  Questa viene intesa come strumento di “autocorrezione”, cioè di percepire tangibilmente l’errore e ripararlo.  Successivamente il bambino sarà più attento e cercherà di evitarlo.

Nelle scuole Montessori, come sicuramente già sapete, le stoviglie (di dimensioni più piccole rispetto a quelle degli adulti) sono di porcellana e i bicchieri di vetro. I bambini sono tenuti, a turni, ad apparecchiare la tavola portandoli senza romperli. Il grado di attenzione, pazienza e controllo dei movimenti che questa azione richiede è un ottimo allenamento per rafforzare il carattere e sviluppare la coordinazione motoria.

 

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Se decidete di offrire ai vostri piccoli piatti e bicchieri fragili  è importante che loro siano consapevoli della richiesta che gli viene fatta e che siano interessati a provarci.  Fare le cose come i grandi deve essere una conquista per i vostri figli, non una forzatura.  Bisogna anche avere pazienza e accettare l’errore proponendosi di volta in volta in senso sempre costruttivo:  “può succedere, la prossima volta andrà meglio”.

 

Apparecchiare insieme.

Come accennavo precedentemente un’attività di vita quotidiana che viene praticata nelle scuole Montessori (e oggi in gran parte degli asili nidi comunali) è l’apparecchiare la tavola.  I bambini sono sempre pronti a partecipare quando le azioni hanno una reale utilità e questa non è l’eccezione.  La Montessori si serviva sempre di un materiale educativo che aiutasse i bambini a visualizzare il lavoro senza l’intervento degli adulti (ambiente educativo) e a tale scopo utilizzava questo tipo di tovagliette per l’attività di apparecchiare la tavola.

 

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Potete scaricarla qui e provare a proporla ai vostri figli e fatemi sapere come è andata!.

 

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Il prossimo post sarà pubblicato a Settembre e tratterò: La cucina. Fare lo chef.

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