Della logopedia, dei bambini e dei papà …
Quando ho iniziato a fare la logopedista 15 anni fa, le relazioni che stringevo per i piccoli pazienti erano sostanzialmente con le mamme. A parte qualche sfuggente presenza agli incontri istituzionali, la figura del padre rimaneva un mistero: c’è un papà? Collabora alla terapia? Oppure fa ostruzionismo passivo perché non pensa che il figlio abbia un problema? Accontenta solo la madre o ci crede? Aiuta il bimbo? Avrà il giusto atteggiamento?
Inutile sottolineare quanto sia importante la collaborazione di tutta la famiglia (stretta e allargata) per consentire una buona riuscita del trattamento sul linguaggio … anzi, è utile dirlo.
Dunque dico che tutti devono partecipare a creare nel bambino l’idea che ciò che si sta facendo è una buona cosa per lui. A dirla tutta, in genere, il bambino lo capisce molto bene fin dalle prime sedute, quando realizza che questo spazio, quello della logopedia, è uno spazio tutto suo dove può sbagliare e riprovare, dove non si sente giudicato, ma sostenuto e dove qualcuno gli insegna i trucchi per riuscire … che bello …
A volte più difficile è fare entrare la famiglia in un atteggiamento positivo e produttivo, ancora di più i papà.
Attenzione, spesso sono le mamme stesse che “vogliono il privilegio” della cura del bambino. Altre volte, invece, mi chiedono esplicitamente come fare a “far cambiare” l’atteggiamento del papà che è proprio sbagliato … è questo il punto! Forse.
Nessuno pretende di cambiare nulla: non si chiede a un papà di cambiare il modo di essere (non lo si chiede nemmeno alla mamma e neppure al bambino, se è solo per questo), non si chiede di dedicarsi al giocare se prima di ora non lo ha mai fatto, non si chiede di rispettare restrizioni o regole particolari … si chiede di essere esattamente ciò che si è stati fino a quel momento, ma con una nuova consapevolezza sul problema linguistico del bambino.
Questa consapevolezza ognuno se la gestisca poi come vuole, nessuno dice “devi fare così, devi fare cosà!”; certo si danno dei suggerimenti sulla base delle carateristiche del disturbo linguistico che possono aiutare a creare un clima più positivo intorno al bambino e aspettative meno pressanti sul linguaggio (se e quando ci sono).
Non si dovrebbe chiedere ai genitori di cambiare, questo li farebbe sentire inadeguati, ma aiutarli a trovare i punti di forza nelle cose che fanno tutti i giorni (e sono tanti) e a individuare gli atteggiamenti che costano, invece, più fatica a loro e al proprio bimbo.
Negli ultimi anni, moltissimi più papà di una volta giungono in seduta ad accompagnare i figli, molti papà seguono il blog, molti papà mi scrivono perché preoccupati o solo per un consiglio e questo mi fa davvero molto piacere perché spesso rappresentano l’elemento dell’equilibrio, la parte necessaria a controbilanciare le “cose da mamma”. E i bimbi stanno meglio.
Cari papà, continuate a scrivermi e ad accompagnare i vostri bimbi, vi aspetto.
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