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Disturbi dell’alimentazione in età evolutiva: “ha mangiato tutto?”

di Giulia Girodo, logopedista – FEEDING DISORDERS IN ETÀ EVOLUTIVA

“Ha mangiato tutto?”

Questa è la classica domanda che una mamma fa all’educatrice quando va a prendere il proprio bambino alla Scuola dell’Infanzia, domanda che talvolta rivolge anche a se stessa, presa dal dubbio che il proprio piccolo non si nutra abbastanza, che sia più piccolo e magro dei suoi coetanei, che non assuma sufficienti proteine o che ne assuma troppe, che mangi troppi dolci e poche vitamine, che assuma poco calcio e che “chissà perché a casa ha rifiutato la crema di cavolfiori con cubetti di zucchine e invece all’asilo le zucchine le ha mangiate tutte”.

Bambini che mangiano controvoglia, spizzicano il cibo, rifiutano alcuni alimenti e fanno disperare i genitori a tavola, sono realtà piuttosto frequenti che si verificano in alcune fasi dell’infanzia. Spesso si tratta di comportamenti transitori che, se gestiti dalla famiglia in maniera adeguata, si risolvono in breve tempo.

Altre volte, tuttavia, diventano un vero e proprio disturbo, dal 2013 riconosciuto all’interno del DSM-V, che prende il nome di Feeding Disorder.

Esso si può manifestare come rifiuto di uno o più alimenti, avversione per specifici sapori, odori, colori, consistenze o temperature di cibo, o ancora come presenza di un regime dietetico ristretto a specifiche categorie di alimenti. Il rifiuto è generalmente alimentato dal timore di contaminazioni, paura di soffocare, vomitare, da problemi olfattivi e sensoriali concernenti la consistenza ed il gusto dei cibi.

I Feeding Disorders rappresentano un problema molto comune: si stima, infatti, che ne soffra circa il 25% dei bambini con un normale sviluppo psicofisico e l’80% dei bambini con ritardo dello sviluppo, ma le informazioni disponibili circa le caratteristiche dei minori con questa patologia sono ancora piuttosto limitate, poiché non sono presenti né una definizione univoca né un gold standard nella sua identificazione e presa in carico.

I Feeding Disorders frequentemente esordiscono tra i 6 mesi e 4 anni di età del bambino, quando viene avviato il self-feeding e contestualmente inizia il periodo di transizione dall’allattamento al seno (o artificiale) al cucchiaio, bicchiere o tazza, e da una consistenza liquida a una semisolida.

In questo periodo alcune madri sviluppano un’ansia legata all’introduzione di cibi solidi e, per timore di esagerare dando al proprio bambino cibi complessi, non avanzano con lo svezzamento, continuando a proporre pappette e succhi di frutta anche sino ai 4-5 anni; gli alimenti vengono quindi omogeneizzati, frullati e confezionati in modo da non aver bisogno di lavoro buccale per la preparazione del bolo.

Si sviluppa così la difficoltà, a fronte di uno sviluppo psicomotorio nella norma, a fruire di consistenze difficili, indispensabili per ottenere la maturazione delle strutture anatomiche del distretto oro-facciale che vengono allenate proprio attraverso il progressivo evolversi della masticazione e della deglutizione. Generalmente i bambini con Feeding Disorders presentano importanti deficit nelle competenze oromotorie: suzione debole e deglutizione problematica con episodi frequenti di tosse e/o conati di vomito.

cosa fare?

In caso di Feeding Disorders è prevista una presa in carico interdisciplinare che permetta di gestire e curare efficacemente i correlati psicologici, ambientali, e comportamentali legati alla patologia. È dunque importante la presenza di un team multiprofessionale, costituito da pediatra, psicologo, logopedista e nutrizionista, che possa attuare un progetto personalizzato, variabile e modificabile in base all’auspicabile miglioramento del quadro.

Il pediatra, coadiuvato in casi specifici da gastroenterologo e/o allergologo, ha il compito fondamentale di diagnosticare il disturbo e monitorarne l’evoluzione nel tempo.

La natura fortemente comportamentale dei Feeding Disorders prevede la presenza anche di uno psicologo, il quale ha il compito di valutare il funzionamento psicologico del bambino e dei genitori e le dinamiche relazionali famigliari, sostenendo emotivamente il nucleo nei momenti di preoccupazione, angoscia o difficoltà.

Dove possibile, e se necessario, è auspicabile anche la consulenza di un nutrizionista o di un dietista al fine di garantire al bambino l’assunzione di un adeguato apporto calorico giornaliero, monitorando e contrastando l’eventuale perdita di peso; è utile che questi sostenga e guidi il nucleo famigliare attraverso un percorso di educazione nutrizionale che permetta loro di scoprire il profondo significato dell’alimentazione.

Tra le figure richieste e indispensabili nella presa in carico dei Feeding Disorders  vi è il logopedista, il quale ha principalmente tre compiti:

-Valutare la presenza ed il grado di ipersensibilità buccale, il grado di movimento mandibolare e la sua simmetria, la simmetria ed il tono labiale, la presenza di anchiloglossia, la simmetria delle strutture facciali, la presenza di riflessi fisiologici e patologici e la conformazione orale.

-Valutare la posizione del capo e del tronco assunte durante il pasto, la presenza di un ritardo nello sviluppo delle competenze oromotorie, il tono, la coordinazione e le abilità di protrusione, elevazione, lateralizzazione linguale, la condizione dei denti.

-Valutare le abilità di deglutizione con le diverse consistenze (liquida, semiliquida, semisolida, solida), variando i gusti, gli odori ed i colori degli alimenti proposti, ponendo particolare attenzione alle fasi anticipatoria, di preparazione orale ed orale e alle reazioni di angoscia, rifiuto, disgusto e vomito del bambino.

Compito del logopedista è anche quello di guidare i genitori su come comportarsi nel momento del pasto, quali strategie utilizzare per far accettare al bambino un determinato tipo di cibo o migliorare e potenziare le sue abilità di alimentarsi attraverso sedute pratiche o di counselling.

strumenti di valutazione

La natura multifattoriale dei Feeding Disorders necessita di una valutazione approfondita che permetta di identificare la natura e l’entità del problema, fornire indicazioni terapeutiche riabilitative modificabili in base all’auspicabile evoluzione del quadro clinico, monitorandone il decorso.

Il primo step è generalmente costituito da un’attenta osservazione anamnestica dove vengono indagate la storia di vita del bambino, le tappe di sviluppo psicomotorio, la sua storia alimentare, ponendo particolare attenzione anche allo sviluppo fisio-patologico, allo svezzamento, all’attuale alimentazione con le relative difficoltà (consistenza e temperatura degli alimenti proposti, modalità di somministrazione, durata dei pasti). Sarà inoltre utile ottenere informazioni circa la buccalità (uso di ciucci, tettarelle, presenza della suzione ciuccio/dito, tendenza del bambino a portare gli oggetti alla bocca) e la dieta giornaliera assunta dal minore, al fine di indagare maggiormente l’aspetto nutrizionale.

A seguire vi è la valutazione clinica della dinamica deglutitoria, dove verranno testate le diverse fasi della deglutizione con consistenze e strumenti diversi (bicchiere, cucchiaino etc …) in rapporto all’età anagrafica e prestazionale del bambino.

A completamento può essere necessaria una valutazione strumentale, condotta mediante videofluorografia o fibrolaringoscopia, qualora vi sia un dubbio sull’integrità e la sicurezza dell’atto deglutitorio.

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Un’esposizione limitata al cibo influisce e limita le funzioni sensoriali, evolutive, fisiologiche e sociali associate al momento del pasto, colpendo negativamente la relazione madre-bambino e lo sviluppo del linguaggio.

Se non correttamente affrontati fin dall’esordio i Feeding Disorders possono rendere molto problematici i rapporti familiari, con effetti sfavorevoli sullo sviluppo psico-comportamentale ed emotivo del bambino; ecco perché una diagnosi ed una presa in carico precoce, multidisciplinare, centrata sulla famiglia possono fare la differenza, contribuendo a garantire il raggiungimento della migliore alimentazione possibile per ciascun minore.

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Per approfondire  si consiglia la lettura di Disordini nutrizionali a esordio precoce e di Il mio bambino non mi mangia.

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Bibliografia:

  • Taylor et al. (2015). Picky/fussy eating in children: Review of definitions, assessment, prevalence and dietary intakes. Appetite , 349-359.
  • (2016). Assessment & Treatment of Pediatric Feeding Disorders.
  • Morris et al. (2017). Feeding Disorders . Child Adolesc Psychiatric Clin N Am , 571-586.
  • Edwards et al. (2015). Interdisciplinary strategies for treating oral aversions in children. J Parenter Enteral Nutr , 899-909.
  • Cardona-Cano et al. (2015). Trajectories of picky eating during childhood:A general population study. International Journal of Eating Disorders , 570-579.
  • Estrem et al. (2016). Feeding problems in infancy and early childhood: evolutionary concept analysis. Jan: Informing Practice and Policy Worldwide through Research and Scholarship .

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Autrice dell’articolo: Giulia Girodo – Logopedista libero professionista – giulia.girodo29@gmail.com – +393496172535

2 commenti

  • Roberta

    Molto interessante! Sono una biologa nutrizionista e mi occupo anche di svezzamento. Mi piacerebbe approfondire là tematica delle consistenze dei cibi in relazione al corretto sviluppo del linguaggio. Da che età sarebbe bene iniziare ad introdurre cibi solidi e semisolidi abbandonando le consistenze cremose? La ringrazio per la eventuale risposta.

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      Ella

      Buongiorno Roberta, sarebbe necessario studiare lo sviluppo psicomotorio dei bambini, così da avere una cornice generale in cui muoverti. L’alimnetazione e suoi eventuali problemi non è direttamente connessa al linguaggio. In genrale i cibi cremosi e di consistenza omogenea non vanno bene, mai. 😉

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