La disprassia evolutiva tra complessità e soluzioni
di Debora Ielpo, logopedista
Sempre più frequente il numero di piccoli che vengono comunemente riconosciuti e definiti come “non in grado di fare”; ci capita infatti, spesso, di sentire dalla bocca di genitori, insegnanti e compagni frasi e definizioni come: “è ancora incapace di allacciarsi le scarpe”, “questo bimbo è davvero goffo e pasticcione” o ancora “che tragedia vestirsi al mattino!!!”… Questi alcuni dei classici casi di quell’apparente pigrizia che spesso nasconde, dietro tratti di goffaggine e caratteristiche buffe, quadri ben più complessi di Disprassia.
Questa parolona sconosciuta è inclusa nella definizione di DCD (Developmental Coordination Desorder), in italiano Disturbi della Coordinazione Motoria, ovvero disturbo nel quale le prestazioni in compiti di coordinazione motoria, fini o grosso motori, sono significativamente al di sotto del livello atteso rispetto all’età e allo sviluppo intellettivo.
Da più parti riconosciuta come un disturbo congenito o acquisito precocemente che, pur non alterando lo sviluppo motorio, comporta difficoltà nella gestione dei movimenti comunemente utilizzati nelle attività quotidiane (ad es. vestirsi, svestirsi, allacciarsi le scarpe) e nel compiere gesti espressivi che servono a comunicare emozioni e stati d’animo, con una deficitaria capacità di compiere abilità manuali e abilità gestuali a contenuto prevalentemente simbolico. Appare comunque necessario in questa sede una banale distinzione tra un disturbo del movimento che può essere incluso nella definizione di DCD e la condizione di Disprassia che invece implica una difficoltà soprattutto rispetto alla capacità di pianificare, programmare ed eseguire una serie di movimenti deputati al raggiungimento di uno scopo o di un obiettivo, per:
- mancata acquisizione di attività intenzionali intese come abilità e competenze;
- ridotta capacità di rappresentarsi “l’oggetto” su cui agire l’intera azione o le sequenze che la compongono;
- difficoltà a coordinare e ordinare in serie i movimenti di base per poter raggiungere un obiettivo (pianificazione e programmazione dell’atto motorio).
In sintesi va dunque sottolineato che: “ la disprassia è un disturbo dell’esecuzione di un’azione intenzionale”. Va considerato che lo sviluppo delle abilità prassiche coincide con la nascita dell’intenzione, intesa come capacità da parte di ogni individuo, già in epoca neonatale, di regolare i propri processi cognitivi per organizzare risposte adattive, intendendo quindi la disprassia ossia “Difficoltà a rappresentarsi, programma ed eseguire atti motori in serie, finalizzati ad un preciso scopo ed obbiettivo”.
Questo disturbo ad oggi è ancora poco conosciuto e dunque sotto diagnosticato, nasce quindi spontaneo il riferimento a quali campanelli di allarme o indicatori costituiscano la manifestazione di una tale difficoltà. Per tutti coloro che si chiedono cosa fa un bambino disprattico ci sentiamo di chiarire che si può verificare la contemporanea presenza di più manifestazioni che condizionano l’aspetto comportamentale ed i tratti fisici, parliamo infatti spesso di piccoli facilmente irritabili con difficoltà di suzione e alimentazione e nel ritmo sonno-veglia, così come difficoltà in cambi di posizione, sguardo e ritardo nella prensione (persiste l’uso di presa palmare e non a pinza).
È utile e necessario segnalare come si tratti di una condizione con alto valore di influenza sullo sviluppo linguistico, che sarà tipicamente caratterizzato da ritardato o assenza della lallazione e poi del babbling, assenza di segnale di produzione verbale nelle primissime fasi di sviluppo per arrivare in età prescolare ad essere caratterizzati da una produzione di suoni isolati, ma non parole, ed evidenti difficoltà ad articolare le parole, con un vocabolario espressivo inferiore a 50 parole a due anni. È altrettanto comune la possibilità di confondere termini che indicano relazioni temporali associate inoltre a difficoltà marcate di socializzazione. Tutto associate spesso a tappe evolutive psicomotorie ritardate cosi come tipica possiamo considerare la necessità di tempi lunghi per svolgere un qualsiasi compito e la rinuncia o l’evitamento di fronte alla difficoltà con tempi brevi di attenzione (2 – 3 minuti).
Poco simpatici a questi bambini giochi di costruzione e precisione cosi come il gioco simbolico prediligendo l’arte dello scarabocchio e del pasticcio. Non è difficile da capire e intuire come, questi piccoli, con l’ingresso alla scuola primaria mostreranno facile distraibilità e tempi di attenzione molto brevi, faticando sin da subito in attenzione costante e ascolto per lo svolgimento di un intero compito. La manifestazione dunque di una difficoltà di apprendimento e dunque nell’esecuzione di compiti scolastici in classe, la lentezza esecutiva, la difficoltà in matematica e nell’elaborazione scritta di storie strutturate, la difficoltà di copiatura dalla lavagna, difficoltà di tipo grafo motorio e nel disegno, persistere di una dominanza non completa oltre il primo ciclo elementare, sono i chiari segni di un quadro tipico disprassico.
Se consideriamo però che i primi segnali di una difficoltà di tipo prassico-motorio si possono osservare già a partire dal primo anno di vita, salta all’occhio l’alto valore determinante di un lavoro di individuazione precoce e di prevenzione nell’idea di limitare il più possibile lo sviluppo delle infinite sequele correlate. In questa direzione allora a chi compete attenzione e “occhio”? Dal pediatra al genitore nessuno è sollevato dall’idea scrupolosa di individuare le anomalie presenti, considerando l’ipotesi di una valutazione più specifica e approfondita presso strutture deputate alla valutazione e alla diagnosi per Disturbi in età evolutiva che si avvalgono di specialisti del settore puntando vista la complessità delle aree coinvolte ad una valutazione multidisciplinare (neuropsichiatri, neuropsicologi, psicologi, neuro psicomotriciste e logopedisti) unica garanzia per una positiva prevenzione ed eventualmente un successo riabilitativo efficace. È altrettanto doveroso sottolineare come il dovere clinico e genitoriale non si esaurisce con una precoce individuazione ed una diagnosi approfondita, ma in questo come in altre difficoltà e patologie dell’età evolutiva non si può prescindere dall’impegno ad intervenire per recuperare e potenziare offrendo possibilità di esperienze concrete che possano dare un significato a ciò che il bambino sa fare e valorizzare in primis le sue capacità, facilitando le esperienze del bambino provvedendo a fornirgli un ambiente di gioco adeguato e “poco caotico”. L’importanza della diagnosi tempestiva diventa determinante dunque ai fini dell’intervento terapeutico per il recupero delle funzioni adattive del bambino nelle diverse fasce di età.
Per gli insegnanti si pone come necessario uno scambio di informazioni periodico con la famiglia ed il terapista, per condivisione costante dei punti di forza e di debolezza mostrati dal bambino che permette di adottare delle nuove strategie di lavoro con il bambino e costituendo occasione di feedback per il terapista in modo da verificare l’effettiva efficacia e generalizzazione delle abilità apprese in terapia, condizione indispensabile per l’efficiente riuscita di una presa in carico riabilitativa con l’obbiettivo unico e prioritario di incrementare lo stato di benessere dei piccoli in oggetto annullando e limitando al minimo possibile il disagio, le difficoltà e dunque le possibilità di insuccesso e frustrazione.
Dott.ssa Debora Ielpo
Logopedista
Centro Dedalo Siena
dedalocentro@gmail.com